VOLANTINI

Volantino #1, “Il volto la maschera e la mascherina” di Monica Ferrando, 26 giugno 2021

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Non è la legge, ma l’arte e l’artigianato, a generare la giustizia.

L’arte e l’artigianato prendono il posto della legge”

Leo Strauss, On Plato’s Republic

                                                                                                                                                                                                                          

La piena contrapposizione a sguardo

è rappresentata dalla parola maschera

Pavel Florenskij

 

 

“Tutto ciò che è profondo ama la maschera”. Già. Eppure il disagio, misto a troppa sopportazione, di non riconoscerci quasi, per strada e nei locali pubblici, dato l’obbligo, imposto se non autoimposto, di coprire la parte inferiore del volto con una mascherina, non ci abbandona. Forse ha una storia. Non una lunga storia, una storia recente, che data dallo stesso (inconfessato e sopportato) disagio di quando la rappresentazione del volto umano nell’arte incominciò a essere snobbata come l’uva lo fu dalla volpe impotente e, pertanto, a essere considerata kitsch. A un certo punto dell’espressione artistica, quella adottata dal secolo breve –sempre meno breve di quanto meritasse- soltanto, la deformazione dei lineamenti, la non riconoscibilità, lo scimmiottamento dello scarabocchio infantile, il dispregio e il superamento del ‘ritratto’ così come era stato coltivato dalle arti in questa parte di mondo, avrebbe avuto corso nella sua cultura, che da sempre, a tutti i costi, mirava all’universale.

Essa scopre la maschera negra; se ne appropria esteticamente e ricopre, con un mistero di cui non è degna, le vergogne coloniali di cui è l’artefice indefessa. Nessun acclamato artista delle avanguardie storiche ha mai saputo veramente cosa fosse un ritratto, cosa significasse scrutare il volto umano per restituirne pieghe e espressione secondo quell’unicità irripetibile che lo rende la cosa più preziosa per gli esseri di questa specie, preziosa al punto da attrarre a sé, nella gloria pittorica di un kairòs votato a irreparabile dissoluzione, l’unica evocazione del divino che ci paia ancora credibile come promessa di eternità. Ritratti del Fayum, sorelle e fratelli nella morte, che coi volti dimessi e sapienti dominano per noi, a cui dolcemente, quasi familiarmente ci ammaestrano. Gli artisti avanguardisti, spavaldi sostenitori dell’automia dell’immagine pittorica dal viso che provano a ritrarre, che d’ora in poi solo a quella, in virtù della loro firma pomposa, dovrà assomigliare (dicevano), sono stati acclamati per la loro potenza profanatrice del volto, considerato cristiano-borghese, per la loro energia dissacratoria     e demistificante, per l’enfasi nichilistica con cui si accanivano a demolire la rappresentazione esteriore di quell’essere umano che pure essi stessi erano e avrebbero continuato a essere e a esibire in un profluvio di istantanee e filmati della loro preziosa vita; insuperabili o orgogliosi nel riuscire così bene nell’azione demolitoria, fieri del successo che ottenevano nel compiere quella triste operazione di cui non si sono mai chiesti chi fossero, nel decretare con tanta sicurezza estetica l’acclamazione, i mandanti.

Come nella celebre, compendiosa immagine-frontespizio del Leviatano di Hobbes i volti della omogenea moltitudine di uomini che lo compone mira all’assoluta anonimia e inespressività che si conviene a una massa da macello, autorizzata a esser tale proprio dalla sua amorfa insignificanza – anticipazione dei bombardamenti aerei e dello sgancio delle bombe atomiche, dove non vi sarà alcuna percezione possibile dei milioni di volti di esseri umani che saranno di lì a poco annullati alla stregua di insetti da sopprimere –  così verrà soppressa nella cultura, piano piano ma irresistibilmente, l’amorosa attenzione per l’unicità, non necessariamente coincidente con un carattere, anzi, spesso eccentrica e virtualmente irriducibile ad esso. Unica e irripetibile, appunto. Cioè, alla fine, misteriosa, enigmatica, silente; e intrattabile se non con la pazienza dell’osservazione lenta, trepidante, amorosa.

Per questo il teatro, che deve comunicare e lavorare col senso comune per farsi subito capire, ha dovuto inventare la maschera: non c’era modo, altrimenti, di rendere comunicabili le azioni umane e dar loro un senso immediato di compassione o divertimento che fosse, per renderle spettacolo, che vuol dire semplificare, concentrare e riassumere appunto in un carattere, farne cioé una maschera, costruendo una tipologia di archai fisiognomiche in cui incasellare i disparati, dispersi, anarchici individui: tutte maschere ciascuna con un preciso, inconfondibile, prevedibile carattere. Sostituibili. Effettive ed efficaci nell’assicurare pietà o riso, non importa da quali individui fossero indossate, proprio come non importa la figura morale dei sacerdoti per amministrare con successo i sacramenti. Magia del ruolo. Magia dell’istituzione come, meglio di chiunque altro, avrebbe poi mostrato Duchamp.

La pittura non aveva mai avuto a che fare con maschere, ma con volti. Anche quando, come nel caso di Antoine Watteau, ha dipinto maschere, ne sono usciti volti. Volti umani dietro e oltre maschere di cartone.

La berlino-anno-zero della figura umana in pittura dopo le incursioni delle avanguardie ‘storiche’ sulla tradizione della pittura d’occidente (colpevole di non degenerarsi abbastanza al ritmo della degenerazione imposta dal capitale occidentale in rapida evoluzione tecnologica e dalle sue crisi ricorrenti curate con la guerra), non paga, saprà prolungarsi grazie ad alchimie politiche dall’obiettivo immutato: frullare l’umano in massa anonima.

La cosa aveva una chiarezza lampante, a volerla vedere. Peccato che questa voglia intellettuale e spirituale sia toccata a pochissimi. Dagli anni ’50 Alberto Giacometti, nauseato tanto dal servilismo dei vinti che dall’ipocrisia dei vincitori, rifletterà con l’occhio del cuore e la matita del genio sul volto dell’essere umano, che tiene davanti a sé. Dagli anni ’60 Avigdor Arikha, suo amico, darà un vigoroso calcio al successo che un’arte imposta dai vincitori gli ha già accordato e, ricordando l’esperienza infantile di disegno dal vero in campo di concentramento nazista, con la benedizione poetica  e profetica di Samuel Beckett ritroverà, con l’umile gloria del pennello, che “there is so much peace to be found in people’s faces”, come ora, in un’Inghilterra sfasciata, recita cantando Kate Tempest.

Intanto, gli intellettuali critici dello spettacolo, e pertanto teorici di situazioni spettacolari che lo denunciassero a dovere, teorizzavano lo spettacolo contemporaneo dell’abolizione dell’arte e della sua realizzazione nella vita.

La separazione della vita dall’arte, o dall’artigianato – cioè di qualcosa che l’essere umano aveva coltivato ab origine nella sua inscindibile, misteriosa unità, come l’arte pittorica, o scultorea, del ritratto ci dimostra, ci prova, ci testimonia –  riusciva finalmente a compiersi. A differenza dei Romani che si sottomisero alla cultura dei vinti (i Greci), questa volta i Romani di turno vincono su tutti i fronti compreso ovviamente quello della cultura e dell’arte, grazie a compunti, fidati luogotenenti.

Ecco allora la vita umana, sciolta dalla sacralità del volto in cui essa fiorisce, si distingue e si ama, che la pittura le aveva accordato fin dai tempi della favola antica della sua nascita con Butade, venir ora, impunemente, consegnata dalla politica di polizia al braccio sociale del capitale, la scienza medica che ne ha accettato le regole.

Di questa asportazione dell’organo dello spirito dalla vita associata degli individui dalla più tenera età alla vecchiaia, di questa perdita incalcolabile, di questo incenerimento dell’anima nell’aria mefitica del Nuovo (Reset) la consacrazione laica della maschera pubblica di turno sarà la penosa, coccodrillesca ma tanto più applaudita e parodica sostituzione.

 

PS1: Il Volantino #1 è stato stampato e distribuito e letto in pubblico nel borgo antico  il 26 giugno 2021 in occasione dell’Anteprima-happening con cui abbiamo presentato il nostro nuovo spazio di Bassano in T.. I nostri VOLANTINI,fino a quando non passerà l’emergenza, e il distanziamento sociale, saranno distribuiti “di mano in mano” a chi verrà a trovarci, e quindi non potrete trovarli, come tutto, specialmente ora, nei circuiti e piattaforme online.

PS 2: pubblicato online nel mese di maggio 2022

 

 

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