Mostre

MOSTRE LUNARI #3, Alessandro Saturno alla “Casa della Cultura e delle Arti” di Camerota, con un testo di Giovanni Festa

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Riflettere le anime purganti

Giovanni Festa sulla pittura di Alessandro Saturno

 

A volte, per cercare di avvicinarci a qualcosa di complesso, è utile cominciare servendosi di un’immagine semplice. A tutti noi sarà capitato di fare una gita in barca in una baia e, durante il tragitto, di sporgerci dal parapetto per scrutare il mare. All’inizio non vediamo altra cosa che il riflesso screziato dell’acqua, le venature verdi, blu scuro, gialle, che attraversano la superficie azzurra dove si deposita anche lo scuro bituminoso delle ombre. Poi, come un’immagine che si definisce nella lontananza, o nel ricordo, ecco apparire il nostro volto. Ma non come lo vediamo in uno specchio (conservando l’accezione “difettosa” della Lettera paolina): al contrario, i suoi contorni sono instabili, i tratti liquidi, i colori diversi, il volume diventa diafana trasparenza. Se l’acqua è oleosa, il volto si sforma fino a diventare, addirittura, qualcosa di informe (vengono in mente le descrizioni del fiume malato e dei suoi riflessi in Suttree di Cormac McCarty): una rovina di volto. La superficie dell’acqua, dove tutto scorre, è uno dei luoghi dell’instabilità, del transito, del tra le cose, dove le normali coordinate vengono meno, in quello che lo scrittore tradizionalista Yukio Mishima definirebbe “il meraviglioso attimo di tensione dell’acqua agitata che ritorna all’immobilità”. Per questo i pittori ukiyo-e, i grandi ritrattisti del “mondo fluttuante”, non si stancavano di interrogarla e il vecchio Hokusai diceva che prima di morire aveva un solo desiderio: dipingere perfettamente delle alghe che si scorgono attraverso un velo d’acqua. Ma per farlo, sapeva oscuramente, come i  savi maestri zen del sumi-e che lo avevano preceduto tre secoli prima, che bisognava diventare alga (viene in mente una frase meravigliosa di Florenskij, autore che incontreremo più avanti: “l’odore di sodio delle alghe testimonia il mare già da lontano”). E, quindi, tentare l’informe.

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Alessandro Saturno, s.t., 2023

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Se esiste un purgatorio, non è da ricercare nella sublime geografia dantesca: il purgatorio è sulla terra, in tutte le zone interstiziali, i territori-limite, le zone di confine, le terre desolate, le rovine: forse, anche, negli anfratti di mare dentro le grotte. È lì che vagano le anime purganti.

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Alessandro Saturno, s.t., 2023

Lévi-Strauss in Tristi Tropici diceva che nelle società tradizionali erano possibili due relazioni con i morti: quella che li lascia riposare e li lega a noi attraverso omaggio e contratto e quella che invece li mobilita, li assimila e consuma per assicurarsene la potenza. Il primo caso è quello di un culto ancora vivo in Campania, secondo il quale i morti non sarebbero scomparsi, ma continuano a vivere tra noi. E, se blanditi e vezzeggiati, possono interessarsi alla nostra sorte e venire in nostro soccorso. Nel Cimitero delle Fontanelle o nella Chiesa delle Anime del Purgatorio, scopriamo che essi possono vincolarsi a noi secondo la logica dell’omaggio e del contratto: in cambio della cura attraverso il ricordo e la devozione, i morti riconoscenti si occuperanno del  benessere e della felicità dei vivi. Alcuni di voi diranno che i morti non li abbiamo mai visti. E forse è vero. Ma non è imputabile al fatto che l’occhio che permetteva di vederli e commerciare con loro, nell’epoca dell’ipertrofia della riproducibilità tecnica, si è per sempre chiuso? Benjamin non a caso diceva che avevamo perso l’aura, la manifestazione di una lontananza per quanto vicina possa essere: si riferiva alla capacità cultuale, e quindi fantasmale, delle opere che, da guardate, ci guardano. Ci rivolgono lo sguardo. E sorge quella che Merleau-Ponty chiamava coscienza metafisica, che riscopre nel mondo “una estraneità fondamentale per me e il miracolo della loro comparsa” dove si tratta di prendere coscienza di quel rapporto segreto che fa si che i morti siano ancora vivi tra noi. Essi, vivono.

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               Alessandro Saturno, Disarmare lo sguardo, 2014

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Chi è capace, allora, di raccogliere non solo lo sguardo ma, con esso, l’eredità del fantasma? Non è rimasto, forse, che l’artista. E, crediamo, un tipo di artista particolare: il pittore. E un particolare tipo di pittore: colui che dipinge su tela, quel reticolato antico che funziona come il retino con la farfalla, che i greci chiamavano psiché, anima, respiro vitale e permette di catturare la più fuggevole fra le forme. L’artista sembra muoversi in mezzo ai due tipi di relazione possibile con il morto-fantasma descritti da Lévi-Strauss, essendo la tela, insieme, lo strumento che lo cattura violentemente, lo assimila, per farlo poi, riposare (c’è un film di Dieterle, Il ritratto di Jeannie, che ci parla esattamente di questa doppia operazione-relazione).

Alessandro Saturno, in questo, è un maestro. Da quindici anni almeno, con una dedizione commovente, si dedica a raccontare quella che Aby Warburg chiamerebbe una “storia di fantasmi per adulti” e, affinando uno strumento insieme di osservazione e ricerca (una specie di analogon teorico-artistico di quello artigianale utilizzato dai cercatori per incontrare pagliuzze d’oro) cerca di visualizzare i fantasmi. Che, e mi viene in mente per la prima volta, nonostante abbia visto e rivisto i suoi quadri, sono, in realtà, anime purganti: “Canterò di quel secondo regno / dove l’umano spirito si purga / e di salire al ciel diventa degno” recita Dante nel primo Canto del Purgatorio.

Dipingerle non è facile. Forse non c’è nulla di più difficile. Bisogna, infatti, imparare a riprodurre l’assenza. E per farlo, è necessario compiere lo stesso tragitto dell’Orfeo di Cocteau: passare oltre lo specchio, in un territorio in rovina, instabile e metamorfico, dove si procede al contrario.

In nessun altro artista è forse meno utile separare i ritratti dai paesaggi. Perché, in Saturno, mostrano la stessa cosa: territori-limite dove, in un movimento di migrazione continua, il volto si sposta e si apre diventando paesaggio, e il paesaggio, condensandosi (i due termini relativi al lavoro onirico non sono casuali), diventa volto. Come il volto che si affaccia dal parapetto della barca incontrando il suo riflesso diventa un tutt’uno con l’acqua che scorre, così fra volto e paesaggio non c’è frontiera o limite, ma una conversazione e una mutazione infinita.

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Alessandro Saturno, s.t., 2023

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Cominciamo, allora, ad osservarli, questi volti. Alcuni di essi, ce ne accorgiamo subito, sembrano antichi. Cerchiamo di capire perché. Non appena ci avviciniamo a quello che Saturno ha chiamato “Disarmare lo sguardo” dobbiamo, però, aprire subito una parentesi: l’artista non chiama la figura con un nome proprio (come fanno a Napoli con il teschio che si è deciso di “adottare”) ma con la descrizione di una esperienza interiore. Questo innanzitutto perché Saturno sa bene (come lo sapeva Proust) che le superfici e i volumi sono indipendenti dai nomi d’oggetti che la nostra memoria impone loro dopo che li abbiamo riconosciuti. E poi perché, se il volto è un paesaggio, quello che vediamo non è una figura, ma un territorio dove compiere un’esperienza. E dato che si tratta di un luogo che, con un termine forse sbagliato, possiamo chiamare ectoplasmico (dall’etimo “struttura del fuori”) e cultuale (cioè auratico), l’azione non può che riguardare lo sguardo, impegnato in una sfida continua di reversione. Il termine viene dalla  genetica, e significa “mutazione inversa”, o atavismo, cioè la comparsa di un individuo dotato di inaspettate caratteristiche non possedute dagli immediati ascendenti. Gli ascendenti delle figure di Saturno sono da ricercarsi nel sublime patrimonio della pittura occidentale: le opere di Rothko (il grande biografo del nulla, l’asceta che ha passato la vita a scrutare il punto d’illimite tra mare e cielo);  De Stael (l’autore di Porte san porte passa dalla “gabbia” di Ressentiment ai colori degli ultimi paesaggi marini, fra presenza e inverosimiglianza); Cézanne (i suoi paesaggi spogliati e ridotti alle loro masse essenziali, le sue figure ridotte a statue viventi mal squadrate ma depurate da ogni accidente superfluo); Monet (il mondo divenuto uno stagno di ninfee appesantito da riflessi infuocati, luogo dove la materia non smette di distruggersi e crearsi); Boldini (il cinematismo delle sue figure eleganti viste come attraverso un brusco movimento di cinepresa); Courbet (le sue marine oleose e dense, scosse sempre da un brivido di diluvio); Leonardo (i sorrisi enigmatici delle sue figure femminili, idoli eterocliti). La storia della pittura, una volta assimilata, diventa in Saturno storia di fantasmi, e le immagini dei maestri del passato vengono “purgate”, cioè purificate:  dall’ascesi verso il “mistico” e il nulla di pronunciabile (Rothko); dalla tensione verso l’annichilimento (De Stael);  dalla struttura permanente (Cézanne); dallo scivolamento dentro un occhio sovrano che rifiuta ogni precondizione del visibile (Monet); dalla sensualità cupa (Courbet); dal sentimento auratico della distanza (Leonardo)….. (…)

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            Alessandro Saturno, Eidos III, 2017

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                                                                                                              Alessandro Saturno, Piccola nuvola, 2021

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“Casa della Cultura e delle Arti”

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Fondazione Meeting del Mare C.R.E.A  /// M.U.T.R.A.C. (Museo Antica Riggiola Campana)
Piazza Santa Maria, 84040 Camerota (SA)
da Giugno a Settembre
Aperto tutti i giorni dalle 10:00 – 13:00 / 17.00 – 20.00  (Ingresso libero)
https://www.fondazionemdmcrea.it/     @fondazionemdmcrea  @mutrac_camerota
+39 347 043 9770  info@fondazionemdmcrea.it
www.alessandrosaturno.com
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La facciata del Palazzo Santa Maria, Camerota, nel Cilento meridionale

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